Articolo tratto dal sito di CARITAS GENOVA

Da domenica 15 Gennaio Caritas Genova è nelle Marche, per dare continuità alla presenza e all’opera della Delegazione Regionale delle Caritas Liguri, che ha preso avvio l’8 dicembre scorso con la Caritas Diocesana di Savona-Noli. La delegazione ligure opera in rete con Caritas Marche, la delegazione regionale dell’Emilia Romagna e Caritas Italiana. Caritas Genova è presente con Matteo Lanza che rimarrà un mese a servizio di quelle comunità. Ecco la sua prima corrispondenza, dal territorio della Diocesi di Fermo.

Cronache dal sisma.
“Non dimenticatevi di noi”

di Matteo Lanza

Il 15 gennaio, in rappresentanza della Delegazione Regionale delle Caritas Liguri, Caritas Genova è partita alla volta delle Marche, per iniziare il servizio presso le popolazioni colpite dai terremoti di agosto e ottobre. Scendo accompagnato da Maria Rita Olianas, responsabile del Settore Emergenze di Caritas Genova, per mettermi a disposizione della Delegazione di Caritas Marche. Siamo consapevoli di non trovare una situazione semplice, visto che le scosse sono state molto ravvicinate non solo come tempi ma anche come luoghi degli epicentri. Quando arriviamo a Civitanova Marche, sede operativa dei volontari delle Delegazioni Caritas gemellate, veniamo accolti da Sonia e Andrea del Nucleo Operativo Emergenze (NOE) della Caritas locale: Maria Rita li conosce bene visto che ha condiviso con loro già i terremoti del Molise e di Umbria/Marche.

Loro ci aggiornano e ci spiegano la situazione e le difficoltà che si stanno incontrando anche a causa delle nevicate e poi ci informano su quello che dovremo fare nei prossimi giorni sia nei luoghi di accoglienza che in quelli colpiti dal sisma. Prima di tutto dovremo appoggiare in maniera forte la Caritas Diocesana di Fermo che è impegnata su più fronti perché ha accolto il maggior numero di sfollati sulla costa e, nello stesso tempo, è stata colpita dal sisma nelle zone più interne. Inoltre bisognerà appoggiare la Caritas di Camerino nell’azione di mappatura delle problematiche e delle richieste provenienti da quella Diocesi.

Lo stesso giorno conosciamo il nostro primo compagno di viaggio, Don Roberto, della Diocesi di Reggio Emilia, che ci racconta il suo lavoro certosino con i sacerdoti locali per capire quali comunità terremotate sono maggiormente da sostenere e quali comunità costiere è possibile coinvolgere di più per un segno concreto di vicinanza. I giorni successivi iniziamo a conoscere anche i membri delle varie équipe diocesane impegnate nell’emergenza terremoto e, con loro, si inizia a pianificare le azioni da intraprendere, alcune già esistenti e molto ben avviate anche da Davide di Caritas Savona, che è stato il primo della Delegazione ligure a recarsi in queste zone, ed altre da far partire ex novo per raggiungere il maggior numero possibile di persone. Prima di salutare, come da programma, Maria Rita che deve rientrare a Genova, iniziamo ad incontrare gli sfollati nei vari hotel e camping di Civitanova Marche, Porto Sant’Elpidio e Morovalle dove sono state accolte tante persone provenienti dai comuni di Camerino, Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera e Pieve Torina, tutti appartenenti alla Diocesi di Camerino.

Il primo incontro, don Roberto ed io, lo facciamo in un albergo di Civitanova con delle famiglie di Castelsantangelo che ci raccontano in maniera molto serena la vita che facevano prima in questo antico borgo medievale di poco più di 180 anime che ormai non esiste più. In maniera altrettanto serena, e forse anche un po’ rassegnata, ci dicono che il sindaco li ha incontrati per comunicargli che sono stati individuati diversi siti dove poter costruire il paese provvisorio ma che i tempi non saranno brevi e che le prime casette di legno verranno consegnate non prima della primavera. Qualcuno di loro ci dice che per loro non è un problema: basta tornare a Castello, come lo chiamano loro.

Le persone incontrate da Matteo e dagli altri volontari dell’ascolto, sfollate in alcuni camping della costa marchigiana, diventati centri di accoglienza. 

Nei camping, invece, si incontrano soprattutto persone anziane, poiché alcuni giovani fanno i pendolari con i paesi di origine per continuare ad andare a lavorare, se si è tra quei fortunati che hanno ancora un luogo fisico dove poter lavorare. Negli occhi di questi anziani, purtroppo, molto spesso, si percepisce l’angoscia e l’incertezza del futuro. Alcuni sono quasi rassegnati a non rivedere più il proprio paese come lo ricordavano; altri, invece, hanno la sensazione che non ci torneranno neppure da morti visto che, in alcuni casi, non esiste più neanche il cimitero. In questi incontri trovo tante persone che affrontano le difficoltà e la sofferenza con dignità: alcuni ti raccontano l’esperienza in maniera serena, altri con le lacrime agli occhi, altri sono ancora visibilmente scossi come se ogni volta che raccontano si ritrovassero fisicamente in mezzo al sisma. E poi ci sono i bambini che aiutano i grandi a superare questi momenti perché “loro sono il futuro e dobbiamo farlo per loro”. Queste piccole vittime inconsapevoli esorcizzano l’accaduto trasformandolo in un gioco comprensivo di villeggiatura sulla costa marchigiana che prima o poi, però, dovrà terminare perché anche per loro è chiaro che “casa” è il paese dal quale sono dovuti fuggire. In tutti i luoghi dove andiamo l’argomento è sempre lo stesso che continuano a ripeterci come un mantra: “Non dimenticatevi di noi perché, anche se l’emergenza terremoto finisse, l’emergenza abitativa continuerà”.

L’emergenza terremoto, però, non finisce. A complicare tutto ci hanno pensato infatti le scosse di Mercoledì 18 Gennaio che hanno riportato alla mente le angosce difficilmente allontanate di agosto e ottobre. Scosse che la gente, ormai, percepisce anche se molto flebili perché sono diventati tutti, loro malgrado, ipersensibili. Tanto che noi non abbiamo assolutamente percepito le prime tre scosse di quel mercoledì: io e don Roberto ci guardavamo straniti mentre gli ospiti del camping Holiday di Porto Sant’Elpidio si confrontavano sulle sensazioni che stavano provando, tutti, nessuno escluso.

Ad ogni incontro con le persone terremotate e sfollate, con le comunità e le parrocchie che si sono messe a disposizione di queste persone che provengono dalle zone colpite della loro regione, si rinnova la richiesta di non essere dimenticati e la testimonianza della forte determinazione a lottare e a farsi sentire finché la loro vita non avrà una parvenza di normalità, finché non potranno stare almeno solo vicini al loro paese, nella consapevolezza che ci sarà bisogno di tempo e pazienza. Virtù che, invero, loro dimostrano di possedere, nonostante tutto quello che gli sta succedendo.