3° parte dell’articolo
E il perdono, a cui Gesù ci invita ripetutamente, è in questa stessa linea di pensiero. Il perdono è, prima di tutto, la possibilità di faticosa libertà per il cuore della vittima. Il perdono interrompe l’ossessione umiliante nel cuore della vittima, innanzitutto. L’aiuta a riconoscere che la propria vita continua ad appartenere al Signore, e non a chi le ha fatto del male. Come nell’A.T. il Signore Dio perdonava sempre il suo popolo per poter restare fedele alla propria verità di Dio che lo amava da sempre, e non perché il popolo se lo meritasse, così, il perdono dà alla vittima il potere di non restare ostaggio del nemico, come altrimenti avviene tramite l’odio e la voglia di vendetta e il ricordo ossessivo.

E così rende possibile anche al nemico, se questi lo vorrà, un cammino di libertà. Ma è nell’interesse innanzitutto della vittima il perdono! E’ per lei che è una via di liberazione, di restituzione alla dignità di soggetto libero e non più ostaggio del nemico. E poi il sapere che quando perdoniamo assomigliamo al Padre celeste che sempre ci perdona, anche questo ci è di aiuto. Il perdono è la sola possibilità di continuare a vivere nell’amore anche dopo essere stati vittima di qualcuno. Gesù, infatti, si rivolge, rivolgendosi ai poveri, innanzitutto alle vittime dei ricchi e dei potenti! Non dimentichiamo che la guerra eterna e planetaria, che si ammanta poi di tutte le ideologie diverse, è quella dei ricchi contro i poveri.

Ed è quasi una memoria del Magnificat cantato da sua madre quando profetizzava “Dio abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili”. E Gesù pensa anche a ogni dolore che si riceve, e si procura purtroppo, nelle relazioni personali, tutti, poveri e ricchi, uomini e donne, ogni giorno… Questa, per me, è meravigliosa intelligenza: perché è assolutamente vero, e ognuno e ognuna se ne può accorgere guardando nel proprio cuore. E’ questa conoscenza umana di Gesù del cuore umano che conquista! Ognuno di noi può guardarsi e ritrovarsi sempre nel Vangelo e nelle parole di Gesù: come soggetto del male fatto e di quello subìto, della fede come dell’empietà, del perdono che libera e pacifica e del risentimento che angoscia, della disperazione e della speranza.

Quale altra parola è altrettanto veritiera, saggia, e ha la forza di farci desiderare la vera libertà, quella da noi stessi, per poter amare anche con intelligenza finalmente? Finito che Gesù ebbe di interpretare alcuni passi della Torà per insegnare ad ascoltarla in profondità e mostrando che la sua interpretazione, lungi dall’annullarla, va alla radice del pensiero di Dio, in Matteo 6.19 Gesù comincia a dire delle parole nuove, degli insegnamenti e delle parabole che ci mostrano il suo senso invincibile della realtà, la sua percezione della vita tout court, il suo sguardo sapienziale e veritiero. Gesù ci mostra che è la nostra verità umana che ci impedisce l’arroganza, la sicurezza, che ci impedisce di fingerci potenti e autosufficienti.

“Non si può servire a due padroni”(Mt 6,24): non si può servire Dio e Mammona. Cioè: non accumulare beni, dice Gesù, perché in quel caso il tuo cuore non sarà più tuo ma loro. Non riuscirai ad amare nient’altro. Perché ciò che possiedi ti possiede. Perché l’unica signoria che non ci tenga in schiavitù è la signoria dell’amore, del Dio dell’amore, il Dio d’Israele e di Gesù. Come dice tutto l’A.T., solo i servi di Dio sono liberi! Che è la vera e spietata verità. Questo è l’unico aut-aut di Gesù! Come siamo lontani dal considerarlo tale! Quanti altri aut-aut la chiesa si è, spesso, inventata trascurando questo, l’unico detto da Gesù!

E quando Gesù invia in missione i suoi discepoli a due a due, dicendo loro: “Annunciate l’Evangelo, guarite i malati” (Mt 10,9-10), chiede loro di non portare nulla con sé. Perché, se non perché l’unica riprova di aver potere sugli spiriti immondi altrui è averlo sugli spiriti immondi propri, cioè sulla propria brama di possesso, di garantirsi la vita da se stessi, di non doversi fidare di nessuno? E questa sua parola in Mt 6,22-23: “La lucerna del tuo corpo è l’occhio; se esso è luminoso, tutto il tuo corpo sarà nella luce”.

La luce che può illuminarci entra in noi da fuori, non viene da dentro! E viene in noi, nel nostro corpo, attraverso il nostro sguardo sugli altri e sulle altre, sulla realtà, su ogni creatura ed evento. Non si tratta di illuminare gli altri, ma di guardarli in modo tale che ci illuminino! E’ nelle mani del nostro sguardo l’essere nella luce o nelle tenebre! Il nostro sguardo è porta, è finestra di noi, anima e corpo. Lo sguardo che vede gli altri e altre con attenzione e compassione, lo sguardo che ascolta le lacrime che sono negli altri e nelle cose, illumina chi guarda come colui e colei che è guardato.

Gesù ridà dignità e responsabilità a ciascuno e ciascuna, perché lo sguardo è potere umano per eccellenza, di cui disponiamo tutti e tutte, perché non è dato solo con gli occhi ma con tutta la nostra postura umana. Anche questa parola, che ci dà un compito e la responsabilità di noi stessi, sull’essere noi nella luce o nelle tenebre, tramite il nostro sguardo, il nostro rapporto con gli altri, dice, secondo me, l’intelligenza specialissima di Gesù. E’ un dire così umano, e così per nulla religioso, che ci riguarda tutti e tutte allo stesso modo: donne e uomini, sani e malati, ricchi e poveri, giudei e pagani. Le sue parole sono davvero luce ai nostri passi, la Torà fatta carne in mezzo a noi, perché le meditiamo nel cuore, e le facciamo.

Oppure quando dice in Mt7, 7-8: “Cercate, chiedete, bussate nella preghiera..”: indipendentemente e prima di ogni esaudimento, queste azioni sono già esercizi di verità, di abitare la nostra povera verità, in quanto ci insegnano a vivere la nostra verità di non bastare a se stessi, di non sapere , di non avere, di desiderare. Più perseveriamo nella preghiera, anche di domanda soprattutto dello Spirito santo, più combattiamo in noi la stoltezza dell’uomo che nel benessere non capisce del Ps 49, o la tremenda tiepidezza di Ap. 3, 16-18, e diventiamo liberi e vigili per accogliere l’invito del Signore, come Gesù dice nella parabola di Lc 14, 16-20, quando il Padrone del banchetto manda in giro i suoi servi a invitare , e tutti si scusano dicendo che hanno altro da fare…

Anche qui, vediamo la stessa cosa: Gesù non ci insegna a essere religiosi ma finalmente umani! Capaci di accettare la nostra condizione bisognosa, vivendola nella libertà e per amore del prossimo. Ci insegna – questo è il Vangelo- il suo modo di vivere: nella libertà e per amore di chi abbiamo attorno, amici e nemici, vicini o lontani che siano dalle nostre abitudini, o pensieri, o inclinazioni affettive e culturali. E anche la parola che forse ci sembra inumana “Chi vuol salvare la sua vita la perderà e solo chi la perderà la salverà”, dobbiamo scoprire che è vera! Che è obbedienza alla realtà, alla verità nostra.

Che è un’impossibilità umana salvare davvero la propria vita! Che nella nostra vita umana è davvero così! Gesù dice che nella realtà abbiamo solo queste due alternative! Che finché la priorità della preoccupazione per la nostra vita ci tiene in ostaggio, non possiamo che esserne angosciati. Perché la vita è minacciata in se stessa! Perché non abbiamo il potere di aggiungere un solo cubito alla nostra statura! Perché non troveremo nessuno che abbia lo stesso nostro scopo nella sua vita, e dunque non potremo vivere in comunione di amore con nessuno!

E dovremo sempre temere tutti e tutto! E anzi, rischieremo di temere i migliori – quelli che noi riteniamo i migliori! – quelli che possono attentare al nostro successo qualunque esso sia e per minuscolo che sia, e degli altri non ce ne importerà nulla! E di questa verità ne abbiamo tutti la prova: ogni volta che abbiamo voluto salvare la nostra vita a tutti i costi, anche contro altri, ci siamo ritrovati tra le mani una vita meno umana. A questi desideri e affanni del tutto anti-evangelici, ci costringe la preoccupazione per noi stessi, non la malvagità, dice Gesù! Ecco perché possiamo restare ammaliati dall’intelligenza di Gesù: perché è talmente vero ciò che dice! Chi di noi non lo prova in se stesso?