Articolo tratto da Banglanews di Paolo M. Alfieri

Nel Sud Sudan nato senza pace tornano stragi e lotte tra fazioni di Paolo M. Alfieri6 maggioÈ forse l’unico Paese al mondo a non aver mai conosciuto la vera pace dalla sua nascita. E se è vero che il Sud Sudan è lo Stato più giovane del pianeta, avendo ottenuto l’indipendenza dal Sudan solo nel 2011, è innegabile che le speranze suscitate dalla secessione siano, almeno per ora, svanite. Il Sud Sudan che aspetta papa Francesco – la visita del Pontefice a Juba è prevista nella prima settimana di luglio – è un Paese alle prese da un lato con lotte intestine tra fazioni, dall’altro con gli appetiti delle potenze straniere, come quello della Cina per le riserve petrolifere locali. Nei giorni scorsi le Nazioni Unite hanno aggiunto, alla stima delle circa 400mila vittime del conflitto sud sudanese, altri 72 morti civili, uomini, donne e bambini uccisi in un periodo di sette settimane nella contea di Leer, nello Stato meridionale di Unity.Da 3.066 giorni, ormai, le violenze tra gruppi di diversa etnia si mescolano e si sommano alle violenze di natura più prettamente politica: il risultato è che solo nelle ultime settimane, in una regione ricca di greggio, altre 40mila persone hanno abbandonato le loro case, ma in totale gli sfollati sono 6,5 milioni.Fughe a cui aggiungere crimini di guerra, arruolamento di bambini, stupri usati come arma.Ai primi di aprile i rivali di sempre, il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, hanno siglato un accordo per creare un comando di forze armate unificato, uno dei nodi che restavano ancora irrisolti dall’accordo che nel 2018 doveva porre fine alla guerra civile. Ma la guerra, seppur con minore intensità, non è mai davvero finita. ‘La pace ha a che fare con la sicurezza e oggi abbiamo raggiunto una pietra miliare’, hanno sottolineato fonti della fazione di Machar, lo Splm/A-Io. L’intesa prevede una distribuzione 60-40 a favore del presidente Kiir dei ruoli chiave nell’esercito, nella polizia e nelle forze di sicurezza nazionali.Il principio resta quello della condivisione del potere, che è anche alla base del governo di unità nazionale varato nel 2020. La riduzione delle tensioni resta però, di fatto, una scommessa dagli esiti incerti: ancora la scorsa estate almeno 440 civili sono rimasti uccisi negli scontri tra le fazioni di Machar e gli uomini fedeli a Kiir. L’Onu parla tuttora di potenziale catastrofe in un Paese in cui la crisi umanitaria ha da poco indotto le stesse Nazioni Unite a lanciare un piano di aiuti da 1,6 miliardi di dollari. Circa due terzi della popolazione, quasi nove milioni di persone, necessitano di assistenza, anche a causa della siccità che ha colpito il Paese e che alimenta, a livello locale, la lotta per le risorse idriche e i terreni coltivabili. Per Juba l’arrivo del Papa non potrà che essere fonte di nuove aspettative e speranze. In Vaticano, nei giorni precedenti la Pasqua del 2019, Francesco invitò i leader politici sud sudanesi per un ritiro spirituale e per momenti di dialogo, arrivando a baciare i piedi degli ospiti e chiedendo loro di non lasciar naufragare il processo di pace. Inevitabile ipotizzare, a luglio, una nuova forte richiesta nella stessa direzione.

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